fonte: www.farmacista33.it

Cresce la domanda di farmacisti masi rileva anche una tendenza, che interessa un po’ tutti i settori, a ricercare un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e personale. Complice la pandemia, il mercato del lavoro sta cambiando, con impatti anche sul settore.

Gli annunci di ricerca di farmacisti sono più frequenti e talvolta, soprattutto da parte di gruppi più strutturati, viene dato rilievo alla ricerca di personale attraverso pubblicità su quotidiani nazionali generalisti, puntando su welfare, benefit, formazione, e altre leve. Crescita della domanda, da un lato, ma, secondo alcune recenti indagini, va rilevata anche una tendenza, che interessa un po’ tutti i settori, a ricercare un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e personale. Sul punto è tornato anche il Conasfa.

Carenza di farmacisti: le leve per attrarre neo assunti
«La carenza di farmacisti eÌ un allarme concreto un po’ in tutta Europa e anche in Italia» si legge in una nota del Conasfa «dove siamo stati i primi a lanciarlo». Un fenomeno che risulta emergere, come già era stato rilevato da tempo da questa testata (cfr Farmacista33 – 22 aprile 2022 http://www.farmacista33.it/carenza-di-organico-in-crescita-la-richiesta-di-farmacisti-le-leve-attrattive-dellofferta-di-lavoro/politica-e-sanita/news–60620.html ), dalle segnalazioni di farmacie, in particolare di alcune zone, ma anche dagli annunci di ricerca di personale farmacista, che, non solo vedono un aumento in termini numerici, ma anche un cambiamento in termini qualitativi. Sempre più spesso, in particolare da parte di gruppi più strutturati, sia di farmacie sia di parafarmacie, si ricorre a una serie di leve per rendere più attrattivo il posto. Tra queste c’è per esempio la formazione gratuita e l’attenzione alle competenze, oppure benefit di vario tipo, come per esempio il rimborso della quota di iscrizione all’ordine, contributi alle spese di affitto per chi lavorerebbe fuori sede. C’è poi chi propone bonus e incentivi economici, chi promette uno stipendio fisso maggiore, chi offre posizioni anche part time.
Tra i motivi di chi vuole cambiare c’è anche la qualità lavorativa percepita
Se un fenomeno viene da più parti percepito, occorre cercare di comprenderne le ragioni. «La pandemia» continua il Conasfa «ha, tra gli altri aspetti, evidenziato come il farmacista non sia solo più il professionista del farmaco, ma il vero e proprio consulente del benessere a 360 gradi, in grado di erogare un’assistenza molto più ampia e specializzata rispetto al passato. Una figura preziosa per l’utenza e per l’azienda». Ma tra le cause potrebbe esserci anche il vissuto dei farmacisti, il «benessere organizzativo percepito», «compreso il malcontento della categoria dei collaboratori. Un vissuto non meritocratico? La percezione di una mancanza di riconoscimenti concreti? Stipendi non adeguati alle nuove mansioni?». Sono tutti temi di particolare importanza, che vanno adeguatamente indagati, «perché se eÌ vero che i farmacisti sono la farmacia, eÌ altrettanto vero che proseguendo su questa linea la farmacia territoriale sarà prima o poi destinata a scomparire» è il timore del Conasfa. «Non sappiamo se il primo bisogno è la serenità dell’ambiente di lavoro prediligendo la tranquillità e un clima più “familiare”, un lavoro meno frenetico che punti alla qualità, oppure valori come carriera, inquadramento economico e benefit e ancora, la libertaÌ e il “rischio” della libera professione». Ma proprio per cercare di «arginare un fenomeno, la fuga dal settore, su cui tutti si interrogano ma per cui servono tempestive risposte» dal Conasfa è stata lanciata una Survey rivolta «a chi eÌ al banco già da anni, ai giovani farmacisti freschi di laurea e di lavoro, a chi eÌ in cerca di occupazione», che si concluderà il 31 agosto.

Salari, carriera, conciliazione vita-lavoro sono “ragioni” trasversali
D’altra parte, il tema dell’uscita dal lavoro è stato oggetto di varie indagini tra cui di recente quella della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: una ricerca – dal titolo “Italiani e lavoro nell’anno della transizione” – condotta in collaborazione con SWG, realizzata nella prima metà di giugno in maniera trasversale su 1.085 lavoratori – non di un settore nello specifico, che quindi restituisce una tendenza in generale presente nel mondo del lavoro. Tra i vari aspetti, a emergere è che “il 5,5% dei lavoratori interpellati ha cambiato occupazione negli ultimi due anni; a questi si aggiunge il 14,4% che sta cercando attivamente un altro lavoro. Ma c’eÌ poi un 35,1% che, pur non avendo messo in pratica alcuna azione concreta, desidera un cambiamento professionale. Complessivamente, eÌ più della metaÌ dei lavoratori (55%) a volere un nuovo lavoro”.
A “spingere verso la ricerca di un nuovo lavoro sono l’insoddisfazione per il lavoro attuale – o passato per chi l’ha cambiato – da un lato (38,7%) e la voglia di novità (35,4%). L’insoddisfazione verso l’attuale condizione lavorativa appare un tratto abbastanza diffuso tra i lavoratori: il 38% degli italiani si reputa altamente soddisfatto della propria occupazione. Il 21,4% poco, mentre per la maggioranza prevale un giudizio di medietà”. Tali percezioni “trovano origine nelle basse dinamiche retributive e nelle limitate possibilità di crescita professionale: solo il 20,4% degli intervistati eÌ soddisfatto del proprio livello salariale (gli insoddisfatti sono il 31,9%), mentre il 40,9% si dichiara insoddisfatto per la mancanza di opportunità di carriera nell’organizzazione in cui lavora. Alla richiesta, poi, di indicare i requisiti irrinunciabili che dovrebbe avere il nuovo lavoro, assieme al miglioramento retributivo, indicato dal 52,5%, una quota pressoché simile (49%) indica un maggiore equilibrio personale, minore stress, e più tempo da dedicare a se stessi”. Una ricerca di miglioramento “che non sempre va a buon fine, anche perché le opportunità di un Paese che non cresce sono di fatto limitate: solo il 30,2% di chi ha cambiato lavoro eÌ molto soddisfatto della nuova situazione, mentre il 32,1% lo eÌ poco o per nulla”. Per quanto riguarda l’aspetto retributivo, anche laddove c’è stato un aumento contrattuale, rileva l’indagine, “lo scoppio della crisi internazionale e l’impennata inflazionistica degli ultimi mesi, unitamente alla ripresa di molti consumi ridottisi durante la pandemia, costringono le famiglie lavoratrici ancora in una situazione di grossa difficoltaÌ: più della metaÌ (52,7%, percentuale simile a quella dell’anno passato) ha avuto problemi a far fronte alle spese, il 40,6% ne ha tagliate alcune, l’11,9% quelle essenziali, mentre il 4,5% si eÌ indebitato o ha chiesto prestiti”.