Fonte: www.farmacista33.it

Il documento “Allergie alimentari e sicurezza del consumatore” pubblicato dal Ministero della Salute a fine 2018 per fare chiarezza al cittadino sulle allergie alimentari e sulla diagnostica relativa in aggiornamento di un precedente già elaborato nel 2014, è stato recentemente rivisto. La premessa del documento ministeriale è che l’allergia alimentare (Aa), definita come reazione immunologica avversa al cibo, eÌ una malattia con elevato impatto sulla qualitàÌ di vita dei soggetti che ne sono affetti, con costi sanitari rilevanti per l’individuo e per il Sistema Sanitario Nazionale, il documento vuole fare chiarezza sulla diagnosi e la gestione della malattia con particolare riferimento ai diversi test diagnostici disponibili. Ed è proprio a questo aspetto che è dedicata parte del capitolo relativo alla diagnostica recentemente aggiornata.
Il ministero raggruppa i test in tre gruppi: quelli che vengono tradizionalmente eseguiti per la diagnosi, i test non convenzionali che pur essendo validati scientificamente non sono abitualmente usati per la diagnosi di allergia alimentare e, infine, quelli privi di fondamento scientifico.

Secondo la classificazione, quelli considerati convenzionali sono lo Skin Prick Test (Spt); il Prick by Prick; l’Atopy patch test (Apt) anche se non eÌ ancora ottimizzato per essere utilizzato nel quotidiano della diagnostica; il testo di test di provocazione orale con alimento (Tpo), Quest’ultimo test in doppio cieco contro placebo (Dbpcfc) rappresenta oggi, secondo la letteratura scientifica, il “gold standard” per la diagnosi di allergie alimentari.

Una seconda categoria, inserita nella revisione, viene definita “test non convenzionali”, dove, si legge nel testo, “il termine non convenzionale, applicato ai test diagnostici dell’allergia, esprime i test che non vengono abitualmente e tradizionalmente eseguiti per la diagnosi, cioèÌ i test diagnostici non ordinari. Entro questo ambito dobbiamo considerare alcuni test, come quello di attivazione dei basofili (BAT) e l’atopy patch test” inoltre, precisa il documento, “al gruppo di test non convenzionali possono anche essere ascritti i dosaggi delle IgG alimento-specifiche, del PAF e del BAFF, sicuramente validati dal punto di vista metodologico ma di non comprovato valore diagnostico per allergia alimentare”.

Infine, una terza categoria, definita come “Test diagnostici privi di fondamento scientifico” che si riferisce a prodotti in commercio “per i quali non eÌ sufficientemente dimostrata l’efficacia o, peggio, eÌ stata già dimostrata l’inefficacia diagnostica”.

«Il documento Ministeriale nasce con la logica di tutelare il consumatore – spiega Attilio Speciani, medico allergologo e immunologo – informandolo sul corretto iter diagnostico di allergia alimentare tutelandolo da test inutili e da diete potenzialmente dannose che prevedono l’eliminazione di alimenti verso cui il paziente sarebbe ‘intollerante’, come erroneamente viene da taluni definito. L’individuazione della categoria definita “non convenzionale” ha permesso di precisare che alcuni test, pur non essendo utilizzati abitualmente nella diagnostica dell’allergia alimentare, si sono rivelati scientificamente validi per valutare, ad esempio, una reazione infiammatoria in caso di dieta ripetitiva». E aggiunge: «Laddove un paziente in farmacia lamentasse una relazione tra assunzione di alcuni alimenti e disturbi ricorrenti, il farmacista ha un importante ruolo di informazione su cosa realmente è una allergia alimentare ed eventualmente può indirizzare verso l’esecuzione di test di valore scientifico che possano studiare la relazione infiammatoria con gli alimenti».

Il documento del Ministero della salute “Allergie alimentari e sicurezza del consumatore”