Di Mauro Miseredino| Farmacista33.it

«È allo studio dell’Enpaf una riforma tendente a introdurre un diverso calcolo della pensione del farmacista basato sul sistema contributivo, e magari in futuro qualcosa cambierà. Ma visto il momento difficile che la professione vive si pensa di procrastinare il tema ed affrontarlo non appena i tempi saranno maturi». Emilio Croce presidente dell’Ente di previdenza dei farmacisti, risponde a Farmacista33 in un periodo dell’anno cruciale per due motivi. In primo luogo, il disegno di legge sulla Concorrenza apre alle società di capitali e il Senato ha bocciato un emendamento per obbligare le società a versare un 2% del fatturato all’Enpaf come già avviene per gli studi specialistici medici-persone giuridiche (che versano all’Enpam).

Croce è intervenuto sui media a stigmatizzare la disparità di trattamento che si profila. In secondo luogo, le casse privatizzate di tutti i sanitari hanno previsto in questi anni post-crisi percorsi di incremento per le aliquote contributive in relazione al reddito, ma il farmacista, in ragione del peculiare meccanismo di contribuzione (quota fissa per il titolare moltiplicabile, ridotta per chi versa ad altre casse come i dipendenti) non è stato toccato dalla necessità di incrementare i versamenti. Per esemplificare, quest’anno per gli infermieri liberi professionisti l’aliquota contributiva passa dal 14% sul 2015 al 15% del 2016 e il contributo integrativo dal 4 al 5%; per i veterinari è prevista una “scala”, come per i medici, e si va dal 13% di aliquota del 2015 al 19% del 2025: per non parlare dei medici: i convenzionati che versano nella quota medicina generale passano dal 15% della retribuzione versato nel 2013 al 26% del 2024 (attualmente siamo al 18%). A queste contribuzioni strettamente previdenziali va aggiunto il contributo integrativo in genere destinato a fini solidaristici, salito anch’esso per molti professionisti da un 2% iniziale al 4% e ora al 5%. «Per i farmacisti – ricorda il presidente Enpaf – allo stato, non trova applicazione un’aliquota percentuale da computarsi sul reddito professionale prodotto; i nostri iscritti versano un contributo previdenziale fisso, uguale per tutti, a cui corrisponde una prestazione predefinita, fatta salva la possibilità, per chi possiede determinati requisiti – gli iscritti con altra previdenza obbligatoria – di ridurre, a domanda, la contribuzione con conseguente riduzione del trattamento maturando. Per gli iscritti, in possesso dei prescritti requisiti che abbiano optato per il contributo di solidarietà, osservo che lo stesso, stabilito in misura fissa non genera alcun trattamento pensionistico».

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Come avviene nell’Enpam per medici e dentisti, ma non in altre casse previdenziali private, oggi nell’ordinamento dell’Enpaf non è prevista alcuna contribuzione integrativa a carico del cliente. Croce ammette che «il gettito riferito alla contribuzione integrativa, che nelle altre Casse ha soprattutto una finalità solidaristica, in questa fase ha certamente risentito della crisi economica diventando in molti casi parte integrante del corrispettivo maturato dal professionista». L’incremento – anche attraverso contributi integrativi – della sola contribuzione obbligatoria non va a scapito di alternative come ad esempio la previdenza integrativa? Per Croce si tratta di due filoni di ragionamento diversi. «La contribuzione integrativa, proprio perché obbligatoria, non può essere in alcun modo dirottata a forme pensionistiche complementari che si reggono sul principio della volontarietà dell’assicurato».

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