Fonte: www.logisticaefficiente.it| 27 giugno 2016

Sempre più spesso, ormai, il concetto di relazione “Cliente-Fornitore” viene sostituito dal più generico ma allo stesso tempo più complesso concetto di “Supply Chain”.

La Supply Chain rappresenta la filiera composta da aziende fornitrici di materie prime e servizi, aziende produttrici, distributori e rivenditori, trasportatori e consumatori finali. Tutti questi soggetti sono connessi tra loro dal flusso dei materiali che parte dalla materia prima e che, per trasformazione e trasporto, giunge all’utilizzatore finale, accompagnato dal flusso di informazioni di competenza.

Semplificando di molto, dunque, la catena di fornitura integrata coinvolge i Fornitori, l’Azienda e i Clienti; ma in genere anche all’interno della propria struttura esistono poi diversi attori che vengono coinvolti con ruoli e funzioni diverse (Acquisti, Produzione, Logistica, Customer Service, etc.).

Quando si analizza la propria Supply Chain è importante perciò valutare il comportamento degli attori e capire se ci si trovi in un regime di collaborazione per il raggiungimento di un obiettivo comune o se invece ognuno si limita a perseguire il proprio scopo, indipendentemente dall’incidenza sugli altri. Tutto ciò è valutabile misurando costi e tempi, perché ogni anello nella catena implica un costo e richiede del tempo, e se fosse possibile ridurre il tempo per spostare la merce verso il cliente finale e/o ridurre il denaro speso nei vari passaggi della filiera, ecco che tutta la Supply Chain avrebbe un vantaggio strategico.

Il primo passo, quindi, è costituito dalla valutazione del costo della catena di fornitura, a partire dal prezzo di acquisto.

Supponendo che l’acquisto di un determinato prodotto dal proprio fornitore implichi il costo di 1,00 euro, occorre evitare di fare l’errore di pensare che esso rappresenti il costo totale del prodotto. Il fornitore, infatti, per quanto possa essere situato nelle vicinanze della propria azienda, è comunque un elemento esterno, pertanto il prodotto dovrà essere spostato, determinando un costo di trasporto. Il trasporto può essere più o meno complicato a seconda della tipologia considerata e delle distanze in gioco e il suo costo dovrà tener conto di eventuali sovrattasse sul carburante, dazi doganali, tariffe specifiche, etc. In aggiunta, non bisogna dimenticare anche il costo logistico di movimentazione della merce, dato che il prodotto dovrà essere carico e scaricato dai vari mezzi di trasporto. Così ragionando, il prodotto del valore di 1,00 euro giungerebbe a costare circa 1,10 ÷ 1,50 euro.

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Si supponga che, a questo punto, il costo del prodotto sia pari a 1,3 euro (media): è davvero tutto? Il prodotto è ora giunto in magazzino e dovrà essere controllato per poi giacere per chissà quanti giorni prima di essere trasferito alla produzione o essere venduto al cliente; ogni giorno di permanenza in magazzino determina un costo (sul quale incidono l’affitto dell’immobile, l’assicurazione e altri costi indiretti). Ecco, quindi, che il prodotto di 1,00 euro giunge a costare almeno 1,50 ÷ 2,00 euro prima che esso lasci il confine aziendale. E se rientrasse in magazzino in quanto reso dal cliente? Certamente occorrerà considerare anche il costo della logistica inversa.

È evidente, quindi, che analizzare attentamente la propria Supply Chain permette di capire quanto realmente possa costare all’azienda il prodotto acquistato a 1,00 euro.

Cosa fare a questo punto? Il bravo Supply Chain Manager cercherà di trovare le giuste leve per ridurre il costo complessivo del prodotto. Riduzioni sul prezzo di acquisto possono essere ottenute negoziando con i fornitori o aggregando la domanda; allo stesso modo, anche i costi di trasporto possono essere negoziati, mentre politiche di controllo e ottimizzazione delle scorte possono ridurre il costo di immobilizzazione del prodotto in magazzino. Anche nei confronti dei clienti si potrà lavorare, ottimizzandone le politiche di emissione degli ordini e la pianificazione della domanda.

Un ulteriore aspetto che merita attenzione e opportune valutazioni quando si analizza la propria Supply Chain riguarda il flusso di cassa: è importante esaminare, infatti, quali siano i termini di pagamento che si hanno nei confronti dei propri fornitori e quali invece quelli che impongono i clienti.

A tal proposito è stato introdotto il concetto di “cash-to-cash” (C2C), ossia il tempo intercorrente per trasformare un euro investito in acquisto di materie prime o componenti in un euro ricevuto dal cliente. Si tratta quindi di un indicatore che fornisce le informazioni sul bisogno di liquidità dell’azienda, in quanto minore è il C2C minore saranno gli oneri finanziari. Ad esempio, qualora il tempo intercorrente tra la fattura al cliente è il reale incasso da parte dell’azienda sia inferiore al tempo intercorrente tra la fattura da parte del fornitore e il reale pagamento da parte dell’azienda si potrebbe addirittura ottenere un effetto leva sulla cassa che permetterebbe di generare interessi finanziari a tutto vantaggio della propria azienda, in quanto il denaro ricevuto dal cliente potrebbe essere investito in attività finanziarie prima di essere utilizzato per pagare il fornitore.

 

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L’argomento, però, è molto più complesso di quanto possa sembrare in prima battuta: se è vero che il tempo di pagamento del fornitore può rappresentare una leva con la quale fare cassa, in un’ottica globale che cerca di massimizzare i benefici di tutti gli attori della Supply Chain, compresi i fornitori stessi, occorrerebbe considerare che quanto più il fornitore è dimensionalmente piccolo e quanto più il suo C2C si allunga, tanto più sarà difficile per lui ricorrere a crediti con gli istituti finanziari, con il rischio quindi di poter chiudere i battenti, arrecando di fatto anche un danno all’azienda stessa che si vedrà venir meno un fornitore e dovrà dunque attrezzarsi per sostituirlo, con un evidente costo nel breve-medio periodo.

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